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Ragazze interrotte

08/02/2003 24526 lettori
6 minuti
NEL MONDO CIVILE

La fase del predegente

“Avete mai confuso il sonno con la veglia? O rubato qualcosa pur avendo i soldi in tasca? Siete mai stati giù di giri o creduto che il vostro treno si muovesse mentre invece era fermo? Forse ero pazza…forse erano gli anni Sessanta, forse ero solo una ragazza…interrotta.”

Nella nostra società perdere il controllo è una delle più gravi sfide che possono capitare al sé. Il self non può essere informe, deve essere imprigionato, deve assumere una forma. Il sistema sociale non permette di essere imprevedibili, richiede una burocratizzazione dello spirito, del nostro fin troppo umano io. La società costringe tutti ad assumere una maschera, a presentare una certa immagine di sé, a sembrare sinceri, coerenti, decorosi, ciò è necessario per l’interazione sociale e per non precipitare nel caos.

Susanna ha trasgredito le norme del vivere sociale, ha tradito i valori alto-borghesi, l’immagine non più invulnerabile della sua famiglia: si è addormentata durante la cerimonia della consegna dei diplomi, è l’unica diplomata della sua scuola che non andrà all’università, ha avuto una relazione con un professore sposato e padre di una sua compagna di classe, vede “cose”, ha ingoiato un flacone di aspirine con della vodka. L’udire voci, vedere “cose”, provare un’inspiegabile ansia sono sintomi, spesso ritenuti in psichiatria semplici e transitori sconvolgimenti emotivi in situazioni stressanti, riconosciuti dagli stereotipi culturali e sociali come segnali della perdita di senno.

La carriera del malato mentale comincia quando la trasgressione viene scoperta e denunciata e quando vi siano una serie di contingenze: il Claymoore Hospital dista solo mezz’ora da dove abita Susanna, viene presentato come un posto dove ci si può riposare, in cui ci vanno tante persone, “perfino scrittori”, lontana per un po’ magari Susanna non sarà la vergogna dei suoi genitori e il centro delle chiacchiere dei loro amici. Le contingenze di carriera testimoniano come la società costruisca l’immagine sociale della malattia che sarà determinante nello sviluppo della malattia stessa. Nel passaggio dallo status civile allo status di degente influiscono un circuito di agenti ed enti che cooperando spingono la persona verso l’ospedale.

I coniugi Kaysen interpretano il ruolo di accusatori, in quanto hanno dato avvio alla serie di contingenze che portano Susanna a Claymoore, ma anche di persone di fiducia (next-of-relation), le uniche persone che nel modo civile le sono vicine. I genitori, in quanto persone di fiducia, la spingono a parlare con un amico psichiatra con il quale si erano precedentemente accordati, il mediatore che la indirizza proprio materialmente verso all’ospedale. Il colloquio con lo psichiatra è fortemente “nonsence” e viola i cerimoniali dell’interazione: Susanna è immersa nei suoi pensieri e non risponde alle domande del dottore che l’accusa di stare “facendo del male a tutti”. Mentre lo psichiatra le parla ripensa alla festa di compleanno di suo padre, rituale celebrativo individuale ma anche cerimonia che esalta il senso dell’appartenenza ad un determinato gruppo sociale. L’elegante vestito della madre contrasta con la sciatta camicetta di Susanna.

M: “Ti presenti vestita così?!”

Il suo contegno, l’aspetto espressivo del suo self, non mostra abbastanza deferenza per gli invitati al party. Il vestirsi bene per un incontro particolare e comportarsi al meglio indica non solo che si sta proponendo un self che ha una sua autorevole forma ma anche che si ha per gli altri abbastanza rispetto da offrire loro il proprio self migliore. I partecipanti alla festa compiono al contrario piccoli rituali di presentazione, non necessariamente veritieri, esclamando:

“Hai dei bellissimi occhi.” “Hai una pelle bellissima, trasparente.”

Nel tragitto in taxi Susanna sperimenta una condizione alienante, liminale, si percepisce come oggetto di una congiura, si sente tradita dall’ambivalente interagire dei due diversi ruoli dei suoi genitori, è caduta nel vortice degli inganni. Le persone di fiducia, dal canto loro, possono ovviare al senso di colpa per il tradimento convincendosi, aiutati dai mediatori, di aver agito secondo dovere morale.

Il conducente del taxi, nell’interazione faccia a faccia, parte avvantaggiato, possiede delle informazioni su Susanna che gli permettono di adottare una certa linea di condotta. Egli sa che andrà a Claymoore ma non la tipizza, per usare un termine schutziano, come malata mentale, evidentemente non rispetta i suoi stereotipi di malata.

T: “Che cosa hai fatto? Mi sembri normale.”

S: “Sono triste.”

T: “Tutti sono tristi.”

Susanna arriva all’ospedale. Quando i mediatori, gli accusatori, le persone di fiducia escono dalla scena il predegente diventa un degente e viene affidato ad un unico responsabile: il direttore dell’ospedale.

DENTRO L’ISTITUZIONE TOTALE

Le istituzioni totali, come l’ospedale psichiatrico, sono quelle istituzioni che esercitano un controllo pervasivo e costante sui comportamenti dei loro membri e che restringono, fino quasi ad annullarli, i gradi di libertà degli individui coinvolti. Nella società moderna l’individuo tende a dormire, divertirsi e lavorare in luoghi differenti con persone diverse senza nessun prefissato intento razionale. Contrassegno cardine delle istituzioni totali è la rottura delle barriere che separano queste tre sfere di vita. L’esistenza dell’internato si svolge nel medesimo spazio, sotto la stessa autorità, sempre a contatto con un ampio numero di persone obbligate ad agire simultaneamente secondo rigide scansioni prefissate.

Attacchi al sé

Susanna deve imparare presto a districarsi secondo il sistema di reparto radicalmente altro dalla vita quotidiana. L’internato è obbligato a chiedere il permesso, domandare aiuto per attività ordinarie fuori dall’istituzione e ciò mette l’individuo in un ruolo innaturale per un adulto e pone le sue azioni in balia del personale curante. Per telefonare è necessario comunicarlo prima ad un’infermiera che collegherà la linea, per andare in giardino o fare qualsiasi altra cosa bisogna fare un’apposita richiesta sul “cartellone coi nomi”. I territori appartenenti al sé sono violati, le frontiere che l’individuo edifica oltrepassate. Susanna è costretta a lavarsi e a depilarsi davanti a Valerie, non può avere un retroscena dove nascondere gli aspetti meno solenni del proprio sé, liberarsi dallo sporco, è obbligata a prendere medicine, a esprimere i suoi pensieri e i suoi sentimenti ad un pubblico estraneo, è costantemente controllata anche quando dorme e riceve visite. Quando Susanna è in camera sua con l’amico Toby che sta per partire per il Vietnam Valerie entra nel suo retroscena. Lì si sta svolgendo un’altra rappresentazione e da intrusa Valerie coglie i presenti in flagrante delitto commettendo un’intrusione inopportuna fonte di imbarazzo e stonatura. L’immagine di Susanna è ulteriormente indebolita e danneggiata. Susanna non ha diritto alla deferenza, Valerie non ha infatti messo in atto un rituale di discrezione, una forma di distacco educato che avrebbe consentito a Susanna di difendere la privacy del suo retroscena.

Il degente si trova spogliato di ogni convinzione, soddisfazione e difesa abituali. Non può muoversi liberamente se non entro i limiti consentiti, è costretto ad una vita in comune, sottomesso all’autorità dello staff, sottoposto ad una costante degradazione. È qui che si apprende quanto sia limitata l’estensione entro la quale può essere mantenuto il sé quando i sostegni abituali vengono a mancare.

L’istituzionalizzazione di questa vita diversa influenza la formazione del sé. Il sé non si plasma semplicemente attraverso un sistema di interazioni rilevanti tra diversi io, è influenzato anche dal tipo di struttura che gli si crea intorno. Anche il reparto è un esempio limite di come le strutture fisiche di un’istituzione possano essere usate per definire il concetto di sé di una persona, la stessa assegnazione di un reparto è infatti espressione del grado di socialità e delle condizioni del paziente.

All’interno dell’ospedale il passato di ognuno è rielaborato in vista della degenza ed è fonte di provenienza della diagnosi, a quella storia il paziente deve affidarsi per ricavare un senso dal suo soggiorno nell’istituzione. Tutto il passato di un paziente viene a trovarsi sotto la giurisdizione psichiatrica di una parte dello staff che intende dimostrare come il suo vissuto sia stato un fallimento, come la causa è dentro di lui, come deve cambiare l’immagine che ha di se stesso. Susanna non può avere nessun controllo sulle informazioni distruttive, i suoi passati “errori” e la sua attuale situazione sono sotto costante critica morale. L’internato non può sfuggire alla pressione del giudizio ufficiale e all’azione inglobante della situazione, l’istituzione totale è un circuito chiuso dove tutto ritorna. All’interno di un’istituzione totale non avviene la segregazione del pubblico, grazie alla quale nella società civile l’individuo si assicura che coloro davanti ai quali rappresenta una delle sue parti non saranno gli stessi davanti ai quali egli rappresenterà un’altra parte in ambito diverso. Un malato non può distanziarsi dal suo ruolo, un esempio è dato nel colloquio tra la dottoressa Wick e Susanna dopo la crisi di Polly rinchiusa in isolamento per aver provocato un’azione di disturbo.

S: “Sono promiscua?”

W: “Una persona che sia patologicamente promiscua può fare sesso con un visitatore in camera sua e poi aver un altro rapporto sessuale durante la stessa giornata con un portantino…”

Il giudizio degli altri, il sistema dei premi e delle punizioni, lo spostamento dei compagni con i quali il paziente si è parzialmente identificato, producono continue oscillazioni del sé dell’internato, un instabile senso di mutamento in cui è difficile ancorare il sé. Quando trasferiscono Lisa in un altro reparto Susanna è in uno stato confusionale e non si da pace.

S: “Dov’è Lisa!!?? Dove è andata a finire Lisa?! Questo posto è una camera di tortura fascista…”

Il paziente deve imparare a vivere costantemente soggetto a smascheramenti ed oscillazioni su ciò che è il proprio valore, deve assumere un punto di vista, un sé, al di fuori di quello che l’ospedale e la società gli concede. In ospedale il paziente impara che il sé non è una fortezza inespugnabile ma una cittadella aperta.

Il sé non è una realtà privata, un attributo individuale, esiste all’interno di un sistema istituzionale sia questo un ospedale psichiatrico o un complesso di rapporti personali e professionali.

La rappresentazione

La malattia mentale è la violazione delle regole cerimoniali della vita quotidiana, i malati violano gli standard rituali della società civile, non hanno nessun riguardo dell’immagine di sé che ci si aspetta essi mostrino d’avere. Il malato non è costantemente occupato a presentare una linea, una faccia coerentemente mantenuta, non è un così affaticato fabbricante di impressioni impegnato in una frenetica attività per mettere in scena la rappresentazione, ed è per questo che è etichettato come “malato”. Significativo è il pensiero che Lisa una notte confida a Susanna dopo la crisi di Polly.

L: “Tra tutti i lavori del mondo se potessi scegliere farei Cenerentola. Tu potresti fare Biancaneve, Polly potrebbe fare Minnie, tutti la bacerebbero e le vorrebbero bene, nessuno saprebbe mai cosa c’è dietro quella maschera.”

Polly per farsi accettare dovrebbe nascondere il suo vero volto sfigurato dalle ustioni e dovrebbe indossare la maschera di un self “sano”.

I malati mentali sono attori cinici, distaccati, non interessati all’opinione del pubblico-staff. Il loro io è fatto di impulsi, emozioni, energie variabili, è uno spirito poco burocratizzato che non indossa la maschera delle buone maniere, è un self molto vicino all’umano io che non si fissa in una forma. I malati mentali hanno un solo ruolo e svolgono costantemente la medesima routine davanti allo stesso pubblico, non hanno il controllo dei propri segreti, sono continuamente smascherati, il pubblico-staff possiede informazioni distruttive sul loro conto.

Il self non è “regionalizzato”, quasi nulli sono i momenti di retroscena, non c’è mai campo libero lecito dove potersi rilassare, sono sempre sotto controllo, sempre su una ribalta di cui non hanno padronanza. All’interno della clinica avvengono rappresentazioni inopportune per il mondo civile: il non-decoro, la non-coerenza, la non-conformità, la non-convenienza, l’urlare, il cantare, le svariate insolenze, l’abbandonarsi alla rabbia…

Nel mondo civile la deferenza è l’apprezzamento per una persona, per il ruolo che interpreta mediante i rituali di discrezione e presentazione, è interiorizzata dopo l’infanzia (i bambini sono non-persone che, come i malati mentali, violano i cerimoniali del rito), è regola di condotta necessaria per l’interazione reciproca tra differenti self. All’interno dell’ospedale la deferenza è continuamente infranta specialmente tramite le numerose scenate, la buona educazione dell’interazione quotidiana, rituale che esprime riguardo per il self di ogni persona in quanto è un oggetto sacro, è quasi scordata. Il malato, spogliato degli abiti del vecchio sé, può praticare l’arte amorale della spudoratezza come Janet o Susanna che cantano:

“O Signore misera vita, o Signore meglio farla finita…”

Le scenate si hanno quando si affronta l’altro con fatti o atti espressivi inammissibili o quando si cerca disperatamente di ridefinire la situazione come quando Susanna chiama Valerie “povera infermiera negra” o quando Lisa durante i primi minuti del film sconvolta per il suicidio di un’amica urla: “Siete tutti dei perdenti!”. L’infrazione della deferenza comporta dure sanzioni ma l’insubordinazione rituale come i brontolamenti, le lamentele, le diverse insolenze sono un mezzo per innalzare una barriera tra l’individuo e l’istituzione di cui fa parte, sono il tentativo disperato di esprimere distacco.

Lo staff

Rigida è la distinzione tra il numeroso gruppo delle persone “da controllare”, che ha circoscritti contatti con il mondo esterno e, l’esiguo staff che controlla, socialmente integrato nell’universo fuori e che detiene il potere. Netta è la separazione tra IN e OUT, l’essere all’interno assume significato se rapportato alle possibilità del mondo esterno. Il lavoro dello staff, e quindi il suo stesso mondo, ha a che fare unicamente con persone, materiali umani che possono ostacolarli. Lo staff deve essere pronto ad impedire tentativi di fuga, disordini, provocazioni da parte degli internati che questi mettono in scena per conquistare il proprio rispetto di sé o per rompere la monotonia.

Il personale curante tende a nascondere le decisioni prese nei riguardi del destino degli internati, perché l’internato non intralci la realizzazione di ciò che è stato pensato per lui. Ecco quello che accade quando i coniugi Kaysen, spazientiti perché la loro figlia per il “cocktail di Natale” non sarà a casa, incontrano il dottor Melvin con Susanna.

M: “Ma cos’è questa faccenda del borderline che mi ha detto al telefono?”

M: “Hm… non credo sia tanto utile…a Susanna… insomma non ora.”

S: “Ma quale faccenda del borderline! Spiegami cosa vuol dire borderline!”

Ma verso il materiale umano si può provare comprensione e affetto. Una notte Susanna si sveglia e vede John, l’inserviente, che sta riparando la lampadina della sua camera.

S: “Perché l’hai fatto adesso? Perché aggiusti la lampadina di notte?”

J: “Beh… io la mattina non ci sono e a te di notte piace fare i tuoi disegni…”

S: “John, perché ti piaccio?

J: “Mi piaci e basta. Vorrei tanto che tu guarissi però, così ti porterei a vedere un film e a mangiare qualcosa…” Susanna è diventata un oggetto sacro per John che prova infatti una forte attrazione per lei e si ritrova in una posizione minacciosa per non aver mantenuto la distanza. Si fa coinvolgere da Lisa e da Susanna che cantano e suonano per Polly e bacia Susanna. John come attore non riesce a mantenere il proprio ruolo di fronte al pubblico (Susanna ma anche le altre degenti), disturba l’interazione tra equipe, non riesce a controllare le proprie emozioni e il resto dell’equipe-staff in disaccordo con quella fuorviante rappresentazione decide di trasferirlo.

Il suo comportamento è una minaccia per la posizione assunta dagli altri membri dell’equipe e per la sicurezza che deriva loro dal conoscere e controllare la situazione. Quando all’interno di un’istituzione si verificano intimità e rapporti non previsti tra internato-staff si ha l’impressione che avvenga un incesto proibito e ciò dimostra la precaria realtà sociale all’interno dell’istituzione. L’istituzione esalta la distanza morale, sociale, la diversità nella percezione di sé e dell’altro tra il personale curante e gli internati. Ma il giorno della morte di Martin Luther King staff e pazienti si ritrovano tutti insieme davanti al televisore per seguire la sconcertante notizia. In quest’incontro si sono abbandonate le formalità dei ruoli e si è ammorbidita la dimensione autoritaria abituale.

Guardare la televisione diviene un momento di retroscena per le rappresentazioni sostenute dalle equipes, un luogo aperto per entrambe le parti. La modifica temporanea nella relazione internato-staff, il rilassamento dei ruoli in un momento di drammatica coesione dimostrano come il distacco tra le due parti non sia insuperabile e inevitabile. A volte alcuni membri dello staff, di grado inferiore e giovani come le pazienti, condividono uno stesso luogo in un clima di uguaglianza, scherzando e parlando di sé, come John con Cynthia o Margie con Lisa.

C: “John, chiamami un taxi.”

J: “Cinzia sei un taxi.”

L: “Com’è va con il tuo fidanzato?”

M: “Sai com’è… lui vorrebbe che io… prima del matrimonio…”

L: “Scopatelo senza pietà, ma col guanto!”

Le degenti

Un’importante influenza per la riorganizzazione del sé è la fraternizzazione, l’appoggiarsi reciproco per resistere al sistema che costringe ad una sorte comune. Ciò che l’internato ha fatto fuori non conta, non influenza il giudizio sulle sue qualità personali, e viene senza indugi confessato anche alle nuove arrivate come in uno dei primi dialoghi tra Susanna e Georgina.

S: “E tu che hai fatto? Perché sei qui?”

G: “Pseudologia fantastica.”

S: “Che cos’è?”

G: “Sono una bugiarda patologica."

Il film non ci dice però il motivo per cui Lisa è a Claymoore da più di otto anni, come se custodisse un oscuro segreto.

Rigida, all’interno dell’ospedale, la delimitazione dei luoghi. Ci sono gli spazi fuori limite, spazi di sorveglianza dove il paziente è soggetto all’autorità abituale e alle restrizioni istituzionali e spazi liberi, retroscena dell’usuale rappresentazione tra staff e internati, ribalta per attività proibite, luoghi rilassanti dove poter uscire dal ruolo di pazienti, senza la sorveglianza dello staff.

Le ragazze una notte, eludendo la sorveglianza, arrivano in una vecchia stanza dell’istituto dove giocano a bowling. E’ un momento “ricreativo”, armonioso, libero da ogni pressione istituzionale, territorio del loro specifico gruppo, una soddisfazione proibita, la prova di essere ancora padrone di sé, una sorta di margine di difesa.

Poi vanno nello studio della Wick e ognuna legge la sua cartella clinica. Il loro mondo è catalogato in quella cartella, un dossier che vuole dimostrare i diversi modi in cui il paziente è “malato”, le giuste ragioni per cui è doveroso trattenerlo, i fatti “sintomatici” della sua storia che lo hanno portato alla degenza. Gli episodi registrati sono quelli che nella vita quotidiana sarebbero disdicevoli, denigratori, porterebbero discredito.

Scambiarsi le cartelle cliniche, come fanno le ragazze, è una sorta di confessione, ha finalità catartica, crea uno spirito d’equipe e una solidarietà da retroscena. Regista di questa rappresentazione segreta è la carismatica Lisa che architetta la momentanea “evasione” e “rimette al suo posto” con uno schiaffo la sbadata Georgina che nello studio della dottoressa aveva acceso la luce. Lisa dirige e controlla anche la fuga sua e di Susanna, è “direttrice di scena” fino al suicidio di Daisy quando comincia per Susanna una nuova definizione della situazione.

La fraternizzazione non porta necessariamente ad un alto spirito di gruppo, non c’è tra tutte le pazienti un grado di solidarietà sufficiente ad impedire che l’una screditi l’altra violando il codice rituale per cui gli individui aiutano gli altri a mantenere la propria faccia. Lisa non esita a costringere Daisy a cedere il valium in cambio di lassativi e a svelare un suo nauseante segreto: cinque carcasse di pollo sotto il letto. Ancora Lisa a casa di Daisy durante la fuga le sbatte in faccia violentemente la verità, un attacco troppo esplicito e oltraggioso per la fragile Daisy che sta tentando di costruirsi una maschera civile e che la porterà ad impiccarsi sotto la doccia.

D: “Mio padre mi ama molto.”

L: “Non ho dubbi, con ogni centimetro della sua virilità!”

D: “Tu sei solo invidiosa perché sono guarita, perché mi hanno dimessa…”

L: “Non sei uscita perché stai meglio, è perché si sono arresi… lo sanno tutti che lui ti scopa, quello che non sanno è che ti piace…”

Un intenso feeling si instaura tra Susanna e la magnetica Lisa. Prima della fuga Lisa è una compagna leale che aiuta Susanna a sostenere il proprio self. Lisa ostacola l’infermiera Margie che sta per controllare Susanna quando questa è nella sua camera con Toby e nella caffetteria inveisce contro la moglie del professore con il quale Susanna aveva avuto una relazione che le augurava di restare “dentro” per quello che aveva fatto. Ma Lisa alla fine del film scredita Susanna leggendo davanti a Georgina e a Polly stralci del suo diario in cui denigra le tre ragazze. Susanna sta per uscire da Claymoore e si comporta ormai come un equipe singola “guarita” che non vuole suscitare una definizione della situazione collettiva da “malata”.

Le definizioni di Susanna

All’inizio del film la definizione della situazione di Susanna si scontra con la definizione della situazione dell’istituzione. Nel sottoscrivere le condizioni di ammissione crede che dovrebbero essere i suoi a firmare e le rispondono che è stata una sua decisione entrare, obbietta di non aver tentato il suicidio e le ribattono sostenendo che quelle sono faccende da discutere in terapia. Quando Valerie le mostra il reparto e la definisce almeno per i primi tempi come “R” (confinata nel reparto) Susanna ribadisce di non dover stare lì a lungo, di doversi solo riposare per un po’. Riconosce il suo self come sano, e come attore il suo scopo è di perpetuare quella particolare definizione della situazione, perché quella è la sua versione della realtà.

Nel primo incontro con Melvin in una ribalta, lo studio dello psichiatra, appositamente predisposta che permette al dottore di gestire saldamente le informazioni per controllare la definizione della situazione, Susanna continua ad adottare la propria definizione della situazione. Costruisce una sorta di apologia del sé sostenendo strenuamente di non aver tentato il suicidio, di non capire il perché si trova lì definendo le altre “pazze”, ostinatamente cercando di mantenere la propria dignità, il proprio contegno.

M: “Hai tentato di ucciderti.”

S: “Avevo mal di testa, non ho tentato di uccidermi!”

Le istituzioni totali, come gli ospedali psichiatrici, sono luoghi di particolare interesse sociologico perché inducono le persone ad diventare diverse, sono luoghi dove si fanno esperimenti con il sé degli internati. Il neofita entra nell’istituzione con un’idea di sé consolidata sulle sue solide sicurezze, ma i suoi sostegni presto vengono meno. È sottoposto a prostrazioni, degradazioni e profanazioni e il sé viene sistematicamente umiliato tramite la costruzione di un muro tra l’internato e il mondo esterno, la spoliazione dei ruoli, la morte civile. Una nuova definizione della situazione si delinea quando Toby propone a Susanna di scappare in Canada.

T: “Susanna tu non sei pazza! Non dovresti stare qui!”

S: “Ho cercato di suicidarmi.”

T: “Hai preso solo un po’ di aspirina.”

S: “Un flacone di aspirina.”… “Ho delle amiche qui.”

T: “Quelle sono matte!”

S: “Lo sono anch’io.”

L’ultima ridefinizione della situazione comincia dopo la fuga di Lisa e Susanna e il suicidio di Daisy. Susanna, ritornata a Claymoore, comincia ad interrogarsi sulla sua “malattia”, cerca di farla uscire parlando con la Wick e riportando sul suo diario ogni singolo pensiero fino al momento della sua dimissione.

S: “Vedere la morte, vederla fisicamente, ti fa capire che sognarla è una cosa ridicola…”

S: “Io ho il controllo. Niente farmaci, mal di testa, dormo sodo…”

Difese del sé

Mentre il processo di mortificazione agisce sull’internato indebolendo il legame che il paziente ha con il proprio self, il sistema dei privilegi gli fornisce un appoggio su cui fondare la propria riorganizzazione personale. Il paziente è sottoposto ad un rigido sistema di prescrizioni e proibizioni che regolano l’intero ciclo di vita. In questo contesto gli viene offerto un esiguo numero di compensi e privilegi in cambio dell’obbedienza allo staff.

Queste piccole gratificazioni, come l’andare alla caffetteria, sono quei garantiti sostegni che il paziente aveva nel mondo fuori, hanno un effetto reintegrante perché stabiliscono un rapporto con il mondo perduto e con il proprio self. L’altra faccia dei privilegi sono le punizioni, conseguenze di una violazione delle regole, più dure di qualsiasi esperienza nel mondo civile, come l’essere rinchiusi in isolamento spogliati dei propri abiti, uno dei pochi ancoraggi del sé, o l’essere sottoposti all’elettroshock.

Anche la dimissione è elaborata all’interno del sistema di privilegi: certe azioni possono aumentare o diminuire il periodo di degenza. A Susanna, stupita per l’imminente dimissione della “fuori di testa” Daisy, Lisa espone il suo punto di vista.

L: “Più segreti confessi più si convincono che ti devono far uscire.”

S: “E se uno un segreto non ce l’ha?”

L: “E’ l’ergastolo.”

Diffusa può essere la sensazione che il tempo passi inutilmente, sia sprecato, derubato, un lungo esilio dalla vita, come quando l’anoressica Janet si dispera per la dimissione di Daisy.

J: “Questo non è giusto, non è giusto, non è giusto! È 38 il peso perfetto!”

Per allontanare queste malinconiche percezioni l’individuo cerca rifugio nelle attività di rimozione che lo aiutano a sostenere la tensione psicologica prodotta dai continui attacchi a sé e a dimenticare momentaneamente la situazione in cui si trova. Georgina si rifugia nelle fantasticherie del mondo de Il Mago di Oz, Susanna da sfogo al flusso dei suoi pensieri sul suo diario, dipinge, tutte “bivaccano” sempre nella sala tv e partecipano ad ogni tipo di psicoterapia dimostrazione, una volta lasciato l’ospedale, di aver ricevuto un trattamento, una sorta di prova di essere stati curati.

Anche le proprietà legittime (il diario per Susanna, la bambola per quella ragazza che non se ne distacca mai, il gatto che Susanna regala a Polly) rappresentano un’estensione del sé e della sua autonomia. L’ospedale tenta di imporre una nuova concezione del sé, prima costringe l’individuo a definirsi come “malato” e poi gli costruisce un nuovo self “sano”, ma il paziente si sforza strenuamente di mantenere una parvenza di controllo.

Le tecniche per preservare il proprio sé dalla morsa dell’istituzione sono un elemento costitutivo, essenziale del sé. Il sé dell’individuo nasce nell’interazione, nel sostegno emotivo del gruppo, ma in una situazione totalizzante l’individuo cerca strenuamente di mantenere una certa distanza tra sé e ciò in cui gli altri tentano di identificarlo. Senza qualcosa a cui appartenere non esiste sicurezza per il sé, ma un inglobamento e un coinvolgimento totale riduce il sé. Il senso dell’identità del degente risiede nelle piccole tecniche con le quali resiste alla pressione, alla mortificazione, alla spoliazione dei ruoli.

Il trattamento degli assenti, la denigrazione dello staff (la Wick è soprannominata “dottoressa lesbica” e Melvin “stupro-terapeuta”) sono un ulteriore espediente per compensare la perdita di identità alla quale sono sottoposte come il guardare fuori dalla finestra. In molte scene le ragazze guardano attraverso il vetro per vedere ciò che accade fuori, liberarsi dalle restrizioni territoriali, sentirsi padrone dell’ambiente.

In or Out

Lisa per due volte nel film scappa ma è sempre ripescata e trattenuta e finalmente trova in Susanna qualcuno che la mette con le spalle al muro come segretamente desiderava.

S: “Ecco perché continui a tornare sempre qui, tu non sei libera, hai bisogno di questo posto per sentirti viva!”

È l’angoscia di fronte alla possibilità di essere dimesso, la paura di non farcela fuori, nella vita civile, l’ansia della disculturazione, la perdita di cognizioni sulla vita quotidiana della società libera, la paura della stigmatizzazione-gettizzazione. L’ospedale dovrebbe avere uno scopo riabilitante, dovrebbe ricomporre i meccanismi regolatori del sé, ma questi mutamenti radicali avvengono raramente.

Prima di andarsene Susanna visita Lisa sfigurata per l’elettroshock legata al letto.

Nella nostra società il corpo è altamente valorizzato, si tende ad identificarsi con esso, gran valore viene attribuito al suo aspetto esteriore e al suo funzionamento. L’uomo ha bisogno di un corredo per la propria identità (trucchi, vestiti, strumenti per adattarli e renderli più belli) per “controllare” il modo in cui appare agli occhi degli altri. Lisa è privata del suo aspetto abituale, del suo corredo e Susanna le mette lo smalto, scambiato con un travestito del reparto uomini, come per stabilire un filo, un legame con il fuori, con la speranza di un futuro fuori anche per Lisa.

S: “Ho sprecato un anno della mia vita e magari tutti quelli la fuori sono bugiardi… ma io preferisco essere lì fuori!

Susanna riconosce che il flusso continuo e ininterrotto di passioni e sentimenti, lo slancio di libertà, l’individuo in accordo con le sue qualità naturali deve essere bloccato, artificializzato da una forma, l’umano io deve assumere innumerevoli maschere necessarie per i rapporti interpersonali. Ma ciò non significa spegnere il valore autentico dell’individuo. Prima di dimetterla lo staff chiede a Susanna qual è il suo programma per il futuro e lei risponde di voler scrivere: la stessa risposta che da all’inizio del film prima di entrare nell’istituzione. All’interno dell’istituzione il self di Susanna con cui lei desidera maggiormente identificarsi si è preservato.

“Dichiarata sana e rispedita nel mondo. Diagnosi finale: borderline recuperato. Che cosa voglia dire ancora non l’ho capito. Sono mai stata matta? O forse matta è la vita… La follia non è essere a pezzi o custodire un oscuro segreto, la follia siete voi o io amplificati…”

BIBLIOGRAFIA

Randall Collins, Teorie Sociologiche, Bologna, il Mulino, 1992

Erving Goffman, Asylums. Le istituzioni totali: i meccanismi dell’esclusione e della violenza, Torino, Einaudi, 1968

Erving Goffman, Roma, Armando Editore, 1998

Erving Goffman, La vita quotidiana come rappresentazione, Bologna, il Mulino, 1969

Appunti delle lezioni del prof. Salvatore La Mendola, A.A. 2001/2002

Glenda Spiller
Glenda Spiller

Glenda Spiller nata a Padova il primo maggio 1981.

Dopo aver percorso l'errata strada del liceo scientifico si è iscritta a Scienze della Comunicazione all'Università di Padova, indirizzo comunicazione di massa, dove frequenta il terzo anno.

Fagocita film e libri, è innamorata della sua micia persiana e di Parigi.

Da grande vorrebbe lavorare in una casa editrice.